Storia

Salita a Santa Croce

Riprendiamo dal Giornale di San Pellegrino del 12 luglio 1941

Se non siete mai andati a Santa Croce, ch’è la prima tappa della Passeggiata A – con percorso segnato con frecce verdi – fra le nove Passeggiate studiate e sistemate, nei contorni turistici di San Pellegrino, dall’Ufficio dell’Azienda Autonoma, affrettatevi ad andarvi: non già perchè più tardi corriate rischio di trovarne inibito l’accesso, chè, anzi, fra Santa Croce e San Pellegrino la mulattiera che porta da via Fratelli Urbani per arrivare lassù, a 756 m., in circa un’ora e mezzo di comoda salita, è una delle più frequentate e più battute della intera nostra zona dal primo giorno dell’anno all’ultimo, talchè si è sentito alfine il bisogno di collegare telefonicamente fra loro Comune e frazione. No. Affrettatevi ad andarvi, per non correre il rischio di progettarne la gita… e di stare poi tre anni senza effettuarla: precisamente com’è avvenuto a tre signori di nostra conoscenza particolarmente cara. Per dire tutto: a chi scrive questa noticina ed a due suoi diletti, sanpellegrinesi purosangue ed entrambi valorosi docenti di materie letterarie al Liceo-Ginnasio Paolo Sarpi di Bergamo.
Due cultori dei classici, dalla sensibilità, però, viva e pronta a tutto ciò che di romantico, fra vagamenti e soste nella diffusa festevolezza di prati, boschi, declivi ammantati di verde vivo e pullulanti di graziosa flora odorosa e di altrettanto graziosa fauna alata, può offrire una giornata d’igienico oblio d’ogni miseria, d’ogni meschinità, d’ogni affanno. Tre anni di rinvii, quasi che lassù, dove hanno avuto i natali i celebri pittori omonimi fioriti poi a Venezia nel primo Cinquecento, ci attendesse alcunchè di sgradevole, o, peggio, di irreparabile, anzichè la letificante freschezza dell’aria, la riposante letizia dei prati, la corroborante sanità d’una rustica ma onesta ed allietante tavola fragrante di vivande casalinghe.
Ma tant’è. Messici d’accordo durante la stagione del 1918, ci siamo improvvisamente decisi a salire lassù soltanto martedì scorso, favoriti dal tempo e dalla fortuna a segno che, contrariamente a quel che avviene di tutti gli eventi che si compiono con troppo ritardo, ci siamo trovati, a gita terminata, assolutamente d’accordo nell’argomentarne che il suo delizioso svolgimento era stato pari al triennale indugio. Siamo giunti lassù che suonava mezzogiorno. L’ora della colazione. Avevamo uno di quegli appetiti che non ammettono ritardi nell’andar a tavola.


Tuttavia, dopo d’esserci soffermati lungo il viale della rimembranza a lèggere venti nomi dei Caduti della grande guerra, – venti nomi: che superba offerta di sangue alla Patria, per un paesino cosi minuscolo! – siamo entrati in chiesa ad ammirarvi due dipinti dei Santacroce; per poi salire senz’altro a quell’alberghetto della Salute, gestito da Faustino Urbani, che citiamo a titolo d’onore, non già per remunerarlo dell’averci ammannita un’agreste colazioncina coi fiocchi, bensì perchè egli è fratello dei tre prodi Urbani, caduti della grande guerra, cui San Pellegrino ha dedicato la via di Piazzo Basso che adduce ai piedi della mulattiera per Santa Croce, e, inoltre, ex prigioniero di guerra egli stesso. Dall’alberghetto della Salute, ch’è da qualche giorno a questa parte anche posto telefonico, la placida distesa verdissima ed appena un po’ altalenante di Santa Croce si presenta dominata dalle due caratteristiche guglie dolomitiche di Pedezzina e Corna Maria, che sembran due ciclopiche sentinelle a guardia della silvestre solitudine. Ma, se fuori l’aria è trasparente e aperitiva, taIchè la si beve a profonde inspirazioni ossigenate, dentro, nella saletta da pranzo del simpatico ritrovo ospitalissimo, le vivande sono semplici ma saporose, ed il vino con cui si innaffiano, frizzante ed esilarante. Questo per dire che, abbandonando a colazione consumata Santa Croce, eravamo in grado di tornare a San Pellegrino attenendoci ad un percorso… piuttosto accidentato seppur anche straordinariamente pittoresco: di scendere, cioè, più a rapidi salti che a metodici passi per Marsele, Teade e Valsambusso, ora in idilliaca ombra nel meraviglioso bosco tutto fremiti di foglie e di ali, ora allo scoperto e a dominio d’un lembo di centro saupellegrinese, che di lassù pare più fata morgana che quadro della realtà. Ma il momento patetico della discesa e dell’intera giornata è stata una mezz’ora di sosta nel bosco, intanto che nella mistica sinfonia degli uccelli in amore due capinere si chiamavano a distanza l’una dall’altra, con una varietià di temi e controtemi, di proposte e risposte, da dare l’impressione che stessimo sognando ad occhi aperti, immensamente lontani dalla vita quotidiana e dal mondo senza pace. Se non siete ancora andati a Santa Croce, affrettatevi dunque ad andarvi, non foss’altro che per godervi una giornata di obliosa ebbrezza. Un momento però.. Non si creda che noi ce ne facciamo propagandisti… per avere fatto lassù una colazioncina a ufo. Ah, no. Ci è stato presentato un conto esemplarmente discreto, ma l’abbiamo pagato, con l’aggiunta d’un triplice ringraziamento per l’accoglienza che ci era stata fatta e per le cortesie che ci eran state usate.