I Santacroce – Girolamo da Santacroce
Girolamo nasce, probabilmente, all’inizio dell’ultimo ventennio del ‘4oo, nel borgo da cui prende il nome: Santa Croce in Val Brembana: una località che tra il XV e il XVI secolo diede i natali a un buon numero di pittori (v. Il Cinquecento, I, p. 489), tutti operanti a Venezia.
Nella città lagunare, che offriva ampie possibilità di lavoro ad artisti di svariati livelli, si trovava fin dagli inizi del ‘500 anche Girolamo.
Il Ludwig ha pazientemente ricostruito la personalità di questo pittore, affermando che Girolamo “depentor” figlio di un certo “Bernardin sartor”, come egli si firmerà in alcuni atti notarili, apprese l’arte di dipingere da Gentile Bellini e lo servì fedelmente e diligentemente.
Che un saldo vincolo domestico unisse il maestro al garzone lo provano due importanti documenti: sono due testamenti, l’uno del 1503 della moglie di Gentile Bellini, dove Girolamo funge da teste (dal qual si deduce che era maggiorenne, visto che poteva fare da testimone in un atto notarile e che esercitava il mestiere di pittore), l’altro, del 1507, è quello dello stesso Gentile dove Girolamo appare come beneficiario: “Ite dimitto et dari volo Venture et Hieronimo meis garzoni bus mea omnia designa retracta de Roma que inter ipsos equaliter dividantur”.
Alla morte di Gentile, Girolamo rimase con tutta probabilità nell’ambiente della bottega in proprio e inizia un’attività destinata a diventare molto ampia, grazie a una clientela che si accontenta di opere dove i modi della grande pittura veneziana vengono riproposti in un linguaggio corrente, su un piano di dignitosa, piacevole qualità.
Le caratteristiche di Girolamo sono infatti sostanzialmente quelle di un eclettico, che ebbe la ventura di frequentare un ambiente artistico prestigioso come quello di Venezia del suo tempo (il suo nome ricorre anche nel “Libro di spese” del Lotto, v. Regesti, 1542) e che seppe cogliere una quantità di spunti e suggerimenti, rielaborandoli nei modi a lui congeniali. Così, accanto alla dominante impronta dei moduli belliniani, si avverte via via nella sua opera il richiamo a molteplici componenti della cultura veneta: dai nitidi paesaggi alle Madonne di Cima, alla lezione di Palma il Vecchio, nonché ad artisti di secondo piano, anch’essi operanti per qualche tempo nell’orbita belliniana, come il Bissolo.
Girolamo fu molto probabilmente in contatto con l’altra bottega veneziana dei pittori da Santacroce, che faceva allora capo al suo coetaneo Francesco Rizzo, e che operava su analoghi livelli di gusto. Certo è che egli mantenne sempre vivi i legami con la colonia dei bergamaschi a Venezia come conferma, nel 1523, il lascito di due ducati fatto da un certo Simplicio de Carminatis in favore del “suo compatriota, maestro Girolamo”.
Fu anche in relazione, più volte, con la nobile famiglia dei Sagredo, che lo chiamò quale testimone in vari atti notarili, nel 1544 e nel 1546, e che gli commise, probabilmente nello stesso periodo, alcuni dipinti per la cappella gentilizia nella chiesa della Santissima Trinità (demolita nel 1832), tra i quali il beato Gherardo Sagredo oggi nelle Gallerie dell’Accademia a Venezia, e la Madonna col Bambino fra San Giovanni Battista e il Beato Gherardo Sagredo che si trova nella chiesa parigina di Saint Etienne du Mont.
I suoi dipinti furono però destinati prevalentemente a chiese di provincia, nel territorio veneto e, specie nel periodo della tarda maturità, nell’Istria e nella Dalmazia. Si tratta in gran parte di opere – spesso elaborati polittici – che rivelano sovente ampi interventi di bottega; una bottega dove certo lavorava un buon numero di aiuti, tra i quali il figlio del pittore, Francesco, che alla morte del padre, nel 1556, ereditò la bottega continuandone l’opera.
Francesco di Girolamo
Francesco, nato a Venezia nel 1516, dovette vivere sempre accanto al padre, diventando presto il suo principale collaboratore; nel 1543 fu nominato suo procuratore in un atto legale e nel 1556, alla morte di Girolamo, lo sostituì alla guida della bottega, rifacendosi fedelmente a lui nei modi e nelle stesse tipologie dei personaggi riproposti nella chiave di un più minuto decorativismo.
Le poche notizie documentarie che conosciamo su di lui attestano che la sua vita privata non fu delle più felici: nel 1575 gli morì un figlio di sedici anni e, pochi giorni dopo, la moglie, Lucia. Dal testamento che egli fece un giorno prima di morire, nel dicembre 1584, sappiamo che aveva altri figli, tra i quali due femmine e due maschi, Pietro Paolo, anch’egli pittore, e Zaccaria.
Pietro Paolo da Santacroce
Dei due figli di Francesco solo Pietro Paolo proseguì nell’attività del padre e del nonno, ma le sue poche opere firmate testimoniano un accentuato calo di qualità che relega l’ultima produzione dei Santacroce a un livello di scadente artigianato.
Le notizie che lo riguardano, estremamente scarse, si limitano al cenno nel testamento paterno e, più tardi, a quello nel testamento della moglie, Ludovica Schieti, che nel 1620 si dichiara vedova del pittore.